Prendersi cura. Per il bene di tutti by Giada Lonati

Prendersi cura. Per il bene di tutti by Giada Lonati

autore:Giada Lonati [Lonati, Giada]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Corbaccio
pubblicato: 2022-02-19T17:42:20+00:00


20 Milano, Einaudi, 2021.

COMPASSIONE

Faccio il lavoro più bello del mondo.

Sono un medico palliativista. Mi occupo delle persone che percorrono il tratto ultimo della vita e il mio compito – in stretta e continua condivisione con l’équipe all’interno della quale opero – è lenire l’inevitabile sofferenza che accompagna il tempo del morire. E che riguarda sempre pazienti e familiari.

Per molti anni il mio lavoro si è svolto sul campo. Appena laureata con una tesi in oncologia sul carcinoma gastrico, ho scoperto che in un ospedale di provincia offrivano una borsa di studio a un medico palliativista.

Avevo un’idea molto vaga di che cosa fossero le cure palliative, lo confesso. D’altra parte le cure palliative sono una disciplina riconosciuta nell’ordinamento universitario solo da pochissimo.

Nel reparto di oncologia che avevo frequentato da studentessa esisteva un’équipe che se ne occupava. Avevo assistito a qualche riunione ma non avevo mai visto i medici e gli infermieri all’opera.

Venivo da un tirocinio precedente in anatomia patologica. Avevo imparato molto della fisiopatologia tra sale anatomiche e vetrini. «Mortui vivos docent» è una massima che dice il vero: effettuare autopsie insegna moltissimo sulla vita, a dispetto delle apparenze.

Poi un amico di mio papà mi aveva rivelato che quello che volevo era altro. Non si trattava di un medico. Si chiamava Dante, faceva l’impiegato. Chiacchieravamo sulla spiaggia e semplicemente guardandomi un giorno con tenerezza, mi ha detto: «Ecco io ti vedo così: come un angelo di fianco a chi sta soffrendo». Non sono un angelo e il paragone con gli angeli mi crea un certo disagio, mitigato solo dalla consapevolezza che anche Lucifero era un angelo. Mio marito non perde occasione per ricordarmelo. Ma l’immagine di me che Dante mi ha restituito quel giorno è diventata un filo guida su cui ho costruito la mia vita. Occuparmi di chi sta male tanto, davvero, da morire.

Per questo, rientrata dalle vacanze, sono andata dal mio responsabile e gli ho detto con un certo imbarazzo che avrei chiuso l’internato in anatomia patologica.

Volevo fare l’oncologa.

Il professore ha strabuzzato gli occhi e mi ha detto semplicemente: «Ma sai che incontrerai un sacco di gente che sta soffrendo moltissimo? Sei sicura di volere vedere così tanta gente che piange? Pensi davvero di farcela?»

Oggi so che potevo farcela. Quello che non avrei mai immaginato è che curare gli altri sarebbe diventata una cura anche per me.

Durante l’esperienza in oncologia, fresca di laurea, ho deciso di mandare il mio curriculum all’ospedale di provincia: in fondo, alla peggio, non mi avrebbero chiamata. Il responsabile del servizio mi ha contattata il giorno dopo per un colloquio, una chiacchierata telefonica alla fine della quale mi ha proposto di recarmi con lui al domicilio per vedere che cosa significasse fare cure palliative.

L’appuntamento era per il sabato successivo.

Ho chiesto a Giovanni, oggi mio marito, di accompagnarmi perché non avevo la più vaga idea di come raggiungere il paese.

È stato così che quella mattina ho seguito Furio Zucco, allora medico responsabile del servizio di cure palliative dell’ospedale di Garbagnate Milanese, a fare una visita domiciliare.



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